Assenza o Genericità delle Causali di Apposizione del Termine – Guida

Il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 , come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, non specifica quale sia il regime giuridico applicabile al contratto a termine stipulato in assenza (o con indicazione soltanto generica) delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, qualora richieste.

Tuttavia, in base ai principi del diritto comune, si può affermare che l’insussistenza (o la mancata specificazione) delle causali determina la nullità, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, cod. civ., della clausola appositiva del termine per contrarietà a norma imperativa di legge, quale è, appunto, l’art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 368/2001, nella parte in cui prevede la necessaria giustificazione del termine al contratto di lavoro.
Circa gli effetti di tale nullità, si è registrato, in dottrina e in giurisprudenza, un significativo contrasto di opinioni.

Secondo un primo orientamento, in mancanza di un’espressa sanzione da parte del legislatore, l’assenza o il vizio della causa legittimante l’apposizione del termine determina non la conversione del rapporto, bensì l’applicazione del dell’art. 1419 cod. civ., co. 1, secondo cui la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole comporta la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità. In tal caso, un recente orientamento giurisprudenziale ha ritenuto che venga meno anche l’obbligo di riconoscere un’indennità economica.

Diversamente, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza , nel caso di apposizione del termine al di fuori delle ipotesi consentite dal D.Lgs. n. 368/2001, sulla base del principio di conservazione del contratto di lavoro, il contratto con termine illegittimo è viziato da nullità parziale e, pertanto, il rapporto si converte sin dall’origine in un contratto a tempo indeterminato.

In altre parole, la nullità del termine non investe l’intero contratto di lavoro, ma solo la clausola appositiva del termine, la quale deve considerarsi come “non apposta” e sostituita di diritto dalla disciplina del contratto a tempo indeterminato (art. 1419, co. 2, cod. civ.), con la conseguenza che il contratto con termine nullo si trasforma ab origine in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

In tale ipotesi, tuttavia, il lavoratore non ha diritto all’automatica riammissione in servizio, ma deve proporre un’azione giudiziale diretta ad accertare la nullità del termine, secondo le modalità previste dalla L. 15 luglio 1966, n. 604 per l’impugnazione del licenziamento individuale (art. 32, co. 2, lett. d), L. 4 novembre 2010, n. 183). Con la medesima azione, il lavoratore può altresì richiedere il pagamento dell’indennità onnicomprensiva di cui all’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, da parametrare sulla base dei criteri previsti dall’art. 8, L. 15 luglio 1966, n. 604.