L’istanza e la documentazione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per i processi civili devono essere presentate alla segreteria Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del luogo ove si radicherà o si è radicata la causa, ai sensi dell’art. 124 T.U. spese di giustizia.
In sostanza, si tratta del Consiglio dell’Ordine del luogo in cui ha sede il Giudice davanti al quale pende il processo o quello del luogo in cui ha sede il Giudice competente a conoscere del merito della controversia, nel caso in cui il processo non fosse pendente.
In quest’ultimo caso, quindi, si avrà una competenza alternativa di più Consigli dell’Ordine: quelli dei luoghi in cui hanno sede i Giudici competenti sulla base delle norme sulla competenza per territorio dettate dagli artt. 18 e ss. del codice di procedura civile.
L’unica eccezione riguarda i processi dinnanzi alla Corte di Cassazione, per i quali è competente il Consiglio dell’Ordine del luogo in cui ha sede il Giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
Con riferimento alle controversie spettanti ad Autorità Giudiziarie la cui competenza territoriale è distrettuale, e, quindi, più ampia rispetto a quella dei singoli Consigli degli Ordini, quali le Corti d’Appello o i Tribunali per i Minorenni, seguendo la regola posta in via generale, si dovrebbe pervenire alla conclusione che il Consiglio dell’Ordine competente sarebbe quello del Capoluogo del Distretto, dove ha sede il Giudice.
Così, tuttavia, gli istanti, che non avessero ancora nominato un legale, si potrebbero trovare nella necessità di recarsi personalmente nel Capoluogo del Distretto, ancorchè non ivi residenti, con i connessi evidenti disagi, tempi (si pensi anche ad eventuali termini decadenziali) e costi (aspetto quest’ultimo evidentemente rilevante, per chi si assume essere soggetto non abbiente).
Onde evitare tali conseguenze non desiderabili, potrebbe essere giustificata un’interpretazione per cui tutti i Consigli degli Ordini ricadenti nel Distretto potrebbero essere ritenuti competenti, identificando il “luogo” in cui ha sede il Magistrato come l’intero territorio su cui si estende la competenza del Giudice.
Il Consiglio dell’Ordine deve decidere sull’istanza nel termine di 10 giorni, ai sensi dell’art. 126.
L’eventuale inosservanza del termine per provvedere sulla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non essendo sanzionabile in termini generali, si risolve in una mera irregolarità, salvo che l’omissione o il ritardo comportino un’effettiva lesione al diritto di difesa
Si discute se, nel caso di inerzia, sia esperibile il ricorso avverso il silenzio inadempimento ex art. 117 D.LGS n. 104 del 2 luglio del 2010.
La risposta è negativa, in quanto non si è in presenza di un procedimento amministrativo, bensì giurisdizionale.
La controparte non può opporsi all’ammissione al patrocinio (non vi è un interesse rilevante sul punto), anche se è chiaro che una simile opposizione costituirà il più delle volte per il giudice spunto di ulteriori approfondimenti in ordine alla sussistenza delle condizioni reddituali.
Quanto alla decisione, il Consiglio dell’Ordine deve valutare la sussistenza delle condizioni per l’ammissione e, in particolare:
1) la propria competenza ex art. 124;
2) che l’istanza sia sottoscritta dall’interessato ex art. 78 e
che abbia il contenuto prescritto dall’art. 79;
3) che l’istanza abbia il contenuto integrativo prescritto dall’art. 122;
4) che il richiedente sia titolare del reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito risultante dall’ultima dichiarazione pari all’importo di cui all’art. 76;
5) che il richiedente intenda far valere una pretesa che non sia manifestamente infondata ex art. 74 e art. 122;
6) che il richiedente non intenda chiedere l’ammissione al gratuito patrocinio per una causa relativa a cessione di crediti e ragioni altrui, ad eccezione del caso in cui la cessione appaia indubbiamente fatta in pagamento di crediti o ragioni preesistenti.
Il Consiglio dell’Ordine, in mancanza del presupposto di cui al punto 1, dovrà dichiarare la propria incompetenza; in difetto di alcuna delle condizioni di ammissibilità di cui ai punti 2 o 3, dovrà dichiarare l’inammissibilità dell’istanza; ove non ricorra alcuno dei presupposti di ammissione al gratuito patrocinio descritti ai punti 4, 5 o 6, dovrà rigettare l’istanza nel merito.
Se, invece, ricorrono contestualmente tutti i requisiti sopra elencati, il Consiglio dell’Ordine dovrà disporre l’ammissione in via provvisoria e anticipata dell’istante al patrocinio.
È, poi, possibile una decisione interlocutoria: infatti, prima di decidere, il Consiglio dell’Ordine può eventualmente effettuare un supplemento istruttorio in casi dubbi, chiedendo ulteriore documentazione all’istante (per es. documentazione attestante lo stato di disoccupazione, stato di famiglia, certificato di residenza, ecc.): si vedano, in particolare, gli artt. 79, co. 3 e 123 T.U. spese di giustizia.
Secondo parte della giurisprudenza, l’ammissione al patrocinio pronunciata da Consiglio dell’Ordine degli Avvocati diverso da quello competente ex lege deve ritenersi pronunciata in carenza assoluta di potere, e, come tale, inesistente.
Nel decidere sull’istanza, ci si deve basare, in ordine ai requisiti di reddito, sulla dichiarazione sostitutiva di certificazione resa dall’istante, senza bisogno di verificare che quanto riferito nell’istanza risponda al vero, come si evince dall’art. 126 T.U. spese di Giustizia.
Al riguardo, la giurisprudenza in materia penale, con riferimento ai poteri del Giudice in sede di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ha affermato ripetutamente che l’autocertificazione dell’istante ha valenza probatoria e il giudice non può entrare nel merito della medesima per valutarne l’attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dei redditi esposti e concedere in base ad essi il beneficio
In realtà, tale affermazione, pure presente in diverse sentenze della Cassazione, va presa cum grano salis. Un sindacato è possibile, come si evince del resto, in materia penale, dall’art. 96, co. 2.
Più specificamente, tale principio incontra un limite, nell’ipotesi in cui sussistano indizi gravi precisi e rilevanti circa la disponibilità di risorse economiche non compatibili con quelle dichiarate. Al riguardo, sono sufficienti anche presunzioni semplici con i caratteri di cui all’art. 2729 c.c., purchè venga indicato sulla scorta di quali elementi si possa operare tale giudizio presuntivo. Tali presunzioni, peraltro, devono dimostrare non solo l’inattendibilità dell’autocertificazione, ma che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli artt. 76.
Tra le presunzioni semplici rientrano il tenore di vita dell’interessato e dei familiari conviventi, il patrimonio a disposizione, come già detto, e qualsivoglia altro fatto di emersione della percezione, lecita o illecita, di redditi. In sostanza, si deve tenere conto di qualsivoglia elemento indicativo delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell’istante.
In particolare, tali presunzioni possono essere fatte discendere dalle risultanze del casellario giudiziale, dal tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte secondo quanto previsto dall’art. 96, co. 2 T.U. spese di giustizia. Trattasi, sì, di norma prevista per il solo processo penale, ma sicuramente la stessa è applicabile anche per il processo civile, dal momento che altro non è che estrinsecazione del canone generale di cui all’art. 2729 c.c.
Su queste basi, sono state considerate presunzioni gravi precise e concordanti, tali da escludere l’accesso al beneficio, l’avere l’imputato riportato una serie di condanne per reati contro il patrimonio o per motivi di lucro, attestanti una condizione di abbienza incompatibile con il beneficio in questione; la partecipazione, accertata con sentenza definitiva, dell’istante ad una associazione criminale dedita al commercio di stupefacenti ; la stipula di un contratto di locazione per una convivenza a fronte di un redditi dichiarato pari a 0.
Non sono state, invece, considerate presunzioni idonee a giustificare il rigetto dell’istanza l’autocertificazione di redditi non dichiarati al fisco; la possidenza di un’autovettura e la disponibilità in un caso di sostanze stupefacenti; il fatto di aver trasferito la residenza da un civico ad un altro contiguo, in prossimità della proposizione dell’istanza, per cui da tale circostanza sola non può desumersi che lo stesso venisse mantenuto dai familiari che abitavano nel civico poi abbandonato dall’istante.
Nel caso di presentazione di una dichiarazione di reddito 0, secondo parte della giurisprudenza di merito, l’istanza andrebbe respinta. Infatti, questa deve ritenersi ingannatoria, in assenza di indicazioni relative agli inevitabili aiuti ricevuti da terzi per far fronte alle esigenze di vita, e la totale assenza di reddito deve considerarsi assolutamente inverosimile e giustifica, quindi, il rigetto dell’istanza. Tale conclusione viene motivata sulla base di una regola di esperienza, secondo cui chi non dispone di reddito non è in grado di sopravvivere. Inoltre, a tale orientamento aderisce anche una sentenza della Cassazione che ha sostenuto non è suscettibile di accoglimento l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato che, pur attestando l’assenza in capo al richiedente di fonti dirette di reddito, non specifichi l’ammontare di erogazioni, di cui si dà atto genericamente, provenienti, a titolo di sostegno economico, dalla famiglia dello stesso.
La Cassazione ha, però, in più occasioni, riformato i provvedimenti motivati esclusivamente sulla potenzialità ingannatoria della dichiarazione di reddito 0. In particolare, la Suprema Corte ha sostenuto che, laddove si negasse il diritto a coloro i quali dichiarino di non possedere alcun reddito (reddito pari a zero), sulla base della presunzione dell’inverosimiglianza della dichiarazione medesima, questi non potrebbero mai accedere al suddetto beneficio, anche tenuto conto del fatto che il soggetto realmente impossidente o privo di reddito non è, di regola, nelle condizioni di fornire elementi concreti e specifici circa tale sua condizione, se non mediante mera dichiarazione negativa (o, al più, mediante generiche allegazioni circa le sue fonti di sostentamento non documentate e, spesso, non documentabili).
A ben vedere, però, tali sentenze hanno solo escluso categoricamente che il giudice possa rigettare de plano una richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dell’autodichiarazione dell’istante che ivi attesti l’impossidenza di alcuna fonte di reddito, senza prima aver attivato i propri poteri di indagine di cui all’art. 79 e 127 T.U. spese di giustizia, prima di procedere al rigetto o alla revoca.
motivandola sulla intrinseca ingannevolezza
Ciò, però, significa che il Consiglio dell’Ordine (o il Giudice in seconda battuta) può chiedere all’istante di documentare, ai sensi dell’art. 79, come questi sopravvive; nel caso di mancata risposta o di risposta inattendibile, la conclusione dovrebbe essere quella di dichiarare l’istanza inammissibile, ai sensi dell’art. 79, u.c.
Come regola finale, infine, va ricordato che, nel caso della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, vi è un soggetto che aspira a tale beneficio, e, quindi, è su di lui che grava l’onere di provare il presupposto di reddito dal quale il legislatore fa conseguire lo stato di non abbienza. In applicazione del criterio suddetto dell’onere della prova, le situazioni di insufficienza o contraddittorietà della prova stessa circa i presupposti fattuali del beneficio comporteranno il rigetto della domanda di ammissione, per non avere il richiedente adempiuto al suo onere di provare l’esistenza di quei presupposti.
Il comma 2 dell’art. 96 del T.U. (operante nel processo penale) aderisce perfettamente alla suddetta giurisprudenza costituzionale in tema di onere della prova, poiché questa disposizione prevede (quale presupposto del rigetto) non una prova piena dello stato di abbienza, ma solo «fondati motivi per ritenere» esistente lo stato di abbienza.
Questi fondati motivi» altro non sono, testualmente e
sostanzialmente, che una prova contraddittoria.
Una volta adottato il provvedimento di accoglimento o di rigetto, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati perde ogni potere in materia e non può più revocare il provvedimento ed ogni ulteriore attività è di competenza del Giudice del processo.
Il Consiglio provvede, poi, a comunicare il provvedimento al magistrato ed alla parte. Nel caso in cui nel fascicolo manchi tale comunicazione ed al contempo l’avvocato abbia omesso di riferire l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, questo non è un motivo di revoca del provvedimento.
Una disciplina diversa è prevista dall’art. 369, comma 2, n. 1, c.p.c., secondo la quale il deposito del provvedimento di ammissione al beneficio, per la fase del giudizio di cassazione, costituisce requisito di procedibilità del ricorso per Cassazione.
Copia del provvedimento di ammissione è trasmessa all’Agenzia delle Entrate perché compia quegli accertamenti sulle condizioni reddituali ai fini dell’eventuale esercizio dell’istanza di revoca.
Si può discutere se il Giudice, prima di liquidare, debba valutare se, effettivamente, vi è stata la trasmissione all’ente preposto poi ai controlli.