L’investimento in titoli obbligazionari presenta anch’esso alcuni fattori di incertezza, potenzialmente in grado di modificarne il risultato reddituale in maniera rilevante, che devono essere attentamente considerati
Il rischio è un concetto che risulta difficilmente comprensibile se associato all’investimento in titoli obbligazionari, compresi i titoli di Stato. Tralasciando per un momento il rischio che l’emittente non sia più in grado di onorare i suoi impegni, sui titoli obbligazionari incombe il rischio di variazione del valore del titolo durante la sua vita. Pertanto l’investitore che si trova nella condizione di dover vendere anticipatamente il titolo in suo possesso potrà, a seconda dell’andamento del mercato, vendere l’obbligazione ad un prezzo maggiore di quello che l’ha pagata, ovvero inferiore.
Ogni emissione obbligazionaria ha proprie caratteristiche che la distinguono dalle altre; quando valutiamo l’investimento in obbligazioni è necessario andare oltre il semplice aspetto reddituale per comprendere quali titoli sono maggiormente adatti alle nostre esigenze. Quindi, si devono considerare una serie di fattori, o meglio una serie di rischi, la cui gravosità e incidenza sono funzione del tipo di titolo, del quantitativo emesso e dell’organizzazione del mercato secondario, del merito creditizio dell’emittente, della valuta di emissione del titolo e del deprezzamento monetario.
Uno dei rischi più importanti da considerare è il rischio di liquidità; con rischio di liquidità si intende la facilità con la quale un titolo può essere negoziato sul mercato. Possiamo definire un titolo liquido se è possibile negoziare un quantitativo normale del titolo velocemente e a un prezzo uguale a quello corrente che il titolo aveva prima della conclusione della transazione. In genere, la quotazione su un mercato regolamentato è garanzia di liquidità di un titolo in quanto permette di negoziare rapidamente un titolo al prezzo migliore possibile in quel momento. Tuttavia questa condizione non è sufficiente a garantire la liquidità di un titolo, infatti è necessario osservare il controvalore giornaliero degli scambi, che esprime il grado di liquidità del titolo. Nei mercati, invece, in cui sono presenti market maker, il grado di liquidità è in funzione dello scarto tra i prezzi denaro e lettera, che rappresentano, rispettivamente, i prezzi a cui l’intermediario è disposto a comprare e a vendere. Se lo scarto è basso allora il titolo si considera liquido e viceversa. Il rischio di liquidità si manifesta in particolare se si decide di uscire dall’investimento prima della sua scadenza naturale; infatti lo smobilizzo dell’investimento potrebbe non essere immediato e, di conseguenza, per trovare un compratore potremmo essere costretti ad abbassare il prezzo a un livello notevolmente inferiore al suo reale valore di equilibrio.
Prima di procedere a un investimento obbligazionario è buona norma informarsi sul grado di affidabilità dell’emittente e della sua capacità di rispettare gli impegni contrattuale (capacità di rimborsare gli interessi e/o il capitale avuto a prestito). Tale fattore viene racchiuso nel concetto di rischio emittente o rischio di credito. Indicazioni sulla bontà dell’emittente possono essere ricavate sui giudizi di rating, che agenzie indipendenti specializzate nella valutazione delle società mettono a disposizione del pubblico. Le tecniche effettuate per eseguire queste valutazioni non sono disponibili, tuttavia è noto che tali giudizi si basano su elementi quali, ad esempio, il grado di indebitamento, il livello di redditività e l’ammontare della capitalizzazioni. Inoltre, si considerano anche fattori relativi al settore produttivo in cui l’impresa opera. Nel caso poi di titoli di Stato, allora si prendono in esame la stabilità politica, la politica economica e la produzione nazionale. Il rating influenza il tasso di rendimento: più un emittente è poco affidabile, maggiore è il rischio emittente a esso associato, più basso sarà, quindi, il giudizio di rating sull’emittente e maggiore sarà il rendimento richiesto dagli investitori per sottoscrivere i titoli. Pertanto è buona norma non farsi abbagliare da alti rendimenti poiché con ogni probabilità sono giustificati da un maggior rischio.
Altro elemento che risulta di una certa rilevanza, in epoca di globalizzazione dei mercati, è il rischio di cambio o rischio valutario, relativo ai titoli espressi in una valuta diversa da quella dell’investitore, che si manifesta quando l’investitore riceve quanto a lui dovuto, a titolo di interesse o di capitale, in una moneta straniera e deve convertire tali somme in moneta domestica. In particolare, l’investitore è soggetto al rischio di svalutazione della moneta straniera che si ripercuote in maniera negativa sull’importo ricevuto in moneta nazionale.
Uno dei rischi tipici di chi investe in bond è il rischio il rischio legato alla dinamica dei tassi di interesse al quale si riconducono il rischio di prezzo e il rischio di reinvestimento. Risulta essere noto che la quotazione di un bond a tasso fisso si muove in direzione inversa rispetto ai tassi di interesse: a una diminuzione dei tassi corrisponde un apprezzamento dell’obbligazione e viceversa. Questo è un elemento di non secondaria importanza, che deve essere attentamente soppesato in funzione del nostro orizzonte temporale di investimento, in modo da non mancare il timing dell’operazione. Il secondo aspetto a cui si faceva riferimento è quello relativo al dover reinvestire le cedole periodicamente ricevute, siano esse fisse o variabili. In una situazione con tassi al ribasso, le cedole sono impiegate a tassi via via più bassi e quindi anche il rendimento globale ne risente, risultando inferiore a quello originariamente previsto.
Infine, è utile esprimere anche alcune considerazioni legate all’effetto dell’inflazione. Generalmente, il tasso di rendimento è espresso in termini nominali, ossia non considera il tasso d’inflazione; pertanto, se dal loro confronto risulta che il deprezzamento del valore del denaro è maggiore del rendimento del titolo, allora il valore reale del capitale ottenuto alla fine è minore di quello investito all’inizio. In altre parole, si dice che l’investitore ha perso in potere di acquisto.